Grotta di Serra di Lioni - Sassari
Esplorata per la prima volta nel dicembre1998, la grotta si svolge secondo un asse principale con direzione grosso modo NW-SE, attraversando le marne arenacee del Burdigaliano Superiore-Langhiano Medio, terreno ascrivibile alla Successione Marina Miocenica della Sardegna Occidentale. È impostata lungo le direttrici di una frattura che, con un'immersione di circa 45 °W, ne condiziona profondamente il profilo morfologico.
L'attuale ingresso, venuto alla luce durante gli scavi della nuova strada Sassari-Alghero, da accesso ad un primo ambiente in frana: il fondo ingombro di massi e la volta inclinata secondo il piano della frattura costringono a stare un po' chini. Verso l'alto sulla destra si aprono dei camini in gran parte ostruiti, ma che in caso di imponenti precipitazioni, rappresentano i sistemi di drenaggio delle acque meteoriche. Questi cunicoli costituiscono verosimilmente i paleoingressi dell'ipogeo che anticamente si aprivano sul piano di campagna nella collinetta sovrastante. In uno di questi tra il materiale di riporto è stata rinvenuta la maggior parte dei reperti scheletrici umani. Scivolando alla base di un pozzetto si apre un piccolo vano in leggera pendenza: sulla destra la volta si solleva permettendo di stare comodamente in piedi (qui sono stati ritrovati i primi cocci in bucchero), a sinistra uno scomodo pertugio conduce ad un basso cunicolo discendente. Il pavimento si fa terroso, ingombro di ossa, la sezione ha dimensioni ridotte, le pareti sono ben modellate e si prosegue carponi per alcuni metri. Si raggiunge così la sala principale: l'erosione protrattasi in quest'ambiente è avvenuta principalmente lungo l'interfaccia del piano di frattura ed infatti la sezione trasversale si presenta ampia alla base ed a forma triangolare, con pareti perfettamente levigate che mettono in evidenza resti di macrofossili quali lamellibranchi ed echinodermi. La volta è segnata da una stretta fessura sub-verticale che va a perdersi verso l'alto con numerose condotte non praticabili. Il pavimento, in lieve pendenza, si compone di un insieme disordinato di blocchi di natura autoctona a testimonianza che la cavità non è stata sede di attività idrologiche intense.
Ricavata tra i massi è ancora evidente una nicchia, di cui si conserva, ormai in crollo, la struttura in muratura (priva di malta) che ne faceva sigillo. Disposti superficialmente su depositi alluvionali fini, fluittati in regime di magra, i materiali ceramici in essa recuperati sono tra i più interessanti per foggia e decorazioni. Più rappresentativo di questo insediamento preistorico è però il vaso, di rilevanti dimensioni, rinvenuto spaccato a metà e riverso per terra nella zona terminale della sala. Questa, dopo circa 20 metri di sviluppo, va quindi a chiudere con un angusto cunicolo; l'unica possibilità di prosecuzione è qualche metro prima lungo una strettoia sul lato sinistro, attraverso un passaggio in frana.
I fenomeni concrezionali sono del tutto assenti in relazione alla componente arenitica del carbonato, ma più suggestive sono delle forme di ricristallizzazione di calcite create da antiche acque sotterranee percolanti all'interno di alcune diaclasi della roccia. All'interno della grotta non sono stati osservati esemplari di fauna troglobia, probabilmente in relazione alla sua recente nuova apertura verso l'esterno. Attualmente l'ingresso della cavità è chiuso da un cancello metallico che la Soprintendenza Archeologica di Sassari ha provveduto ad installare per arginare il degrado prodotto dall'azione dei tombaroli che, visitando la grotta, oltre ad aver sottratto alcuni pezzi di particolare pregio (come la macina in basalto), hanno sconvolto l'intera stratigrafia. E' vergognoso come troppo spesso vengano distrutte le testimonianze di un mondo così grande di cultura tradizionale e come i suoi resti vengano schiacciati sotto il rullo compressore dei modi di una società che si definisce civile.