Lovettecannas continua! (Urzulei, NU)
5 Giugno 2005

Stefano Pinna, Laura Sanna, Paolo Marcia, Jo De Waele, Carla Corongiu, Vittorio Crobu

Ogni volta che mi chiedono cosa mi spinga ad infilarmi in grotta, provo sempre a spiegare che ci vado perchè si vedono delle cose bellissime che in superficie non esistono, che ci vado perchè la curiosità mi spinge a cercare risposte che spesso possono essere trovate solo quaggiù, che ci vado perchè la compagnia degli speleo è qualcosa che arrichisce, diverte e rilassa.
Ma certo scoraggerei tante persone se gli raccontassi dei labirinti tra frane instabili e dei passaggi in cui strisci con la faccia nell'acqua, o del fango viscido che ti si infila dappertutto. In pochi si lascerebbero convincere a percorrere luoghi bui e freddi, fradici d'acqua gelata e spesso tra correnti d'aria che soffiano forte come il vento.
Io stesso non impazzisco all'idea di prendere freddo e botte dappertutto, rischiando congestioni o pericolose scivolate, o all'idea di passare interminabili istanti in posizioni assurde per superare passaggi angusti e scomodi. Eppure ogni volta che riesco, non vedo l'ora di infilare la tuta speleo per fendere con la mia calda luce quel buio vecchio di milioni di anni, come le grotte che riempie.

Così in un caldo giorno di giugno, dove ovunqe in tutta Italia la gente è disposta a fare 200 km di fila in macchina pur di fare un bagno al mare, io che il mare lo vedo da casa mia mi faccio centinaia di chilometri per infilarmi in un buco nel terreno. A dirla così sembro davvero un pazzo. Ma una delle cose belle è che questo buco si apre in un posto unico, dove regnano rocce e ginepri, che sembra quasi immobile da sempre, ma che è in continua evoluzione e porta i segni degli agenti che l'hanno formato: i movimenti geologici di milioni di anni fa, le piene periodiche che tuttora si abbattono impetuose, ma più ancora la lenta ma inesorabile azione dell'acqua che divora le rocce carsiche dell'altopiano. Eppure l'acqua in superficie non si trova! Così, assieme ad altri 5 amici, partiamo per la nostra ricerca nelle viscere della terra.

Fuori l'aria è calda e afosa, ma appena dietro l'ingresso la temperatura scende pian piano mentre proseguiamo, sino a stabilizzarsi intorno ai 10 gradi. Il gruppo è guidato da Jo De Waele, che uscito dalla grotta appena 8 ore prima, si lascia convincere a ridiscendere per accompagnarci. Insieme a me ci sono Laura, Paolo, Vittorio e Carla. Siamo leggeri, ma portiamo con noi un tondino di ferro da usare come piede di porco, ed un martello da geologo da usare come mazzetta. Non è proprio il massimo, ma non abbiamo trovato di meglio...

Superiamo la prima frana, tra grossi massi concrezionati, e le strettoie allagate. Arriviamo ad un grande salone, raggiungiamo l'acqua e la seguiamo per un tratto, sino a che si perde tra una seconda frana. Proseguiamo tra massi instabili e fangosi, sino a ridiscendere all'acqua, che però non riusciamo a seguire. Gli ambienti sono molto ristretti, non ci sono concrezioni, e i passaggi possibili sono tanti: solo seguendo i segnavia bianco-rossi riusciamo a districarci trai massi sino ad arrivare ad una saletta dove lasciamo gli zaini. Da qui parte una sagola che ci guida ancora trai massi, nella zona di più recente esplorazione. Io parto a razzo verso il passaggio da disostruire, mentre Vittorio si trattiene nei passaggi più scomodi per allargarli un pò. Dopo aver affrontato diverse strettoie ed esserci bagnati per bene, arriviamo al passaggio che blocca la prosecuzione.

Visto che l'ambiente è molto stretto gli altri rimangono appena più indietro per bonificare alcune strettoie. Il passaggio bloccato si trova in alto, e si tratta di un varco tra due massi dentro al quale sono incastrate delle pietre più piccole. Dopo un pò di lavoro riusciamo a far scivolare giù un grosso sasso, ma le manovre di disostruzione hanno minato la stabilità di un secondo masso, molto più grande, che ora rende pericoloso il passaggio. Cerchiamo di farlo franare per eliminare il pericolo e quando finalmente ci riusciamo il passaggio è abbastanza ampio e sicuro da permetterci di superare quello che era il limite conosciuto della grotta.

Un'attimo prima stavamo rannichiati tra l'acqua e i grossi massi della volta, ed ora invece riusciamo a proseguire agevolmente, stando finalmente in piedi. Risaliamo verso l'alto, seguendo la corrente d'aria che ci porta ad una galleria con grandi vaschette ormai inattive. Raggiungiamo delle sale di crollo con grossi distacchi e tanta argilla, affrontiamo alcuni passaggi un pò più bassi, e poi ancora una piccola frana. Discendiamo trai massi e troviamo ancora ambienti ampi e molto concrezionati, ed infine sentiamo nuovamente il rumore dell'acqua. Imbocchiamo delle belle gallerie attive, ed è bellissimo cammminare nell'acqua al ginocchio, e ad ogni curva che sembra minacciare la fine, trovare ancora nuovi metri di gallerie, fino a percorrerne centinaia! Ogni volta che gli ambienti si fanno ampi, e tra le tante direzioni possibile bisogna sceglierne una, è sufficiente soffiare, e vedere da che parte và la nuvoletta di vapore. A volte l'aria è molto tenue, ma in alcuni tratti è come vento, e bagnati come siamo non possiamo fermarci a lungo.

Entusiasmo, urla di gioia, meraviglia e soddisfazione. Se spesso i motivi per cui entriamo in grotta sono quasi compensati da quelli per cui non dovremo, trovare una nuova galleria, nuovi ambienti mai esplorati, vedere finalmente quei posti che tanto spesso avevi immaginato, fa pendere senz'altro la bilancia a favore! La gioia esplode pian piano, e aumenta ad ogni nuovo salone, aumenta ogni volta che superato un passaggio meno ovvio l'ambiente si fa nuovamente ampio e concrezionato. Le urla rieccheggiano nel buio e, come pipistrelli, dall'eco cerchiamo di stimare le dimensioni dei saloni. A intervalli regolari dobbiamo fermarci per segnare la via percorsa, ma è difficile imporsi di farlo, perchè l'istinto sarebbe quello di tirare dritti senza fermarsi!

Nell'ultimo tratto esplorato la galleria diviene più angusta: in alcuni tratti dobbiamo quasi strisciare tra la sabbia delle piene, in altri dobbiamo immergerci sino alla vita per superare delle pozze. Le rocce sono fortemente incise, la volta non è tanto alta, e in alcuni tratti dei distacchi dal soffitto creano delle piccole frane. Riusciamo a superarne una prima, ma una seconda frana, con massi di dimensioni più piccole, chiude il passaggio. Cerchiamo un varco per alcuni minuti, abbiamo la sensazione che la galleria prosegua ampia appena più in là. L'aqua scorre appena sotto di noi, e l'aria si infila tra i blocchi dove non possiamo seguirla. Siamo scesi a -330 metri rispetto all'ingresso. Siamo bagnati, e la breve sosta forzata ci fa sentire subito il freddo. Diamo un'ultimo sguardo ai passaggi per farci un'idea di come organizzare la futura disostruzione, e infine ci rassegnamo a prendere la via del ritorno.

Percorrendo a ritroso i nostri passi notiamo alcuni ambienti ampi e molto belli, con concrezioni e dune di sabbia, alcune zone di crollo e apporti laterali che potrebbero dare accesso ad altri rami. Uno dei passaggi è soggetto ad allagamento, e vediamo chiaramente i segni dell'acqua sulle pareti. Anche l'odore è caratteristico, e la sabbia è quasi nera per la tanta materia organica presente. Sarà interessante verificare se questi apporti arrivino da qualche pozzo sovrastante. Mentre rientriamo ci chiediamo se gli altri ci stiano venendo incontro, o se invece ci stiano aspettando sotto ai teli termici. Alla fine scopriremo che sono usciti senza sapere che eravamo riusciti a superare la frana!

Dopo 330 metri di risalita siamo nuovamente alla luce del sole. Io e Vittorio siamo davvero soddisfatti, ma il merito và a chi ha lavorato per tanto tempo dentro alla frana: noi abbiamo avuto solo la fortuna di trovarci nel posto giusto e al momento giusto per aprire l'ultimo pasaggio. E ovviamente il merito di crederci! Certo, ci siamo fermati ad un'altra frana, ma ormai sappiamo che non esistono più, le frane "terminali"...

Stefano Pinna

Speleologia