Emozioni a Su Peltusu (Cossoine, SS)
15 Novembre 2003

Giovedì sera. Solita capatina in sede per vedere cosa bolle in pentola per il weekend. Laura mi invita ad un'uscita in grotta per domenica. Quando ci risentiamo venerdì sera per conferma mi affretto a chiederle se si occupa lei di prendere imbraghi e corde, e mi sento rispondere che no, non c'è bisogno, è una grotta orizzontale. Tutto il mio entusiasmo di neofita scema in un secondo e dalla bocca mi esce un "Ah..." che suona giusto come un "e sai che palle!". Avrò tempo e modo di ricredermi.

Arriviamo all'imboccatura dell'inghiottitoio nelle campagne di Cossoine sotto un cielo grigiastro che non ha voglia di diventare minaccioso, ma intanto ci scarica addosso un'acquerugiola che sa di dispetto. Chi se ne importa. Una ragione in più per entrare.
Subito giù a carponi sul greto basaltico, ora asciutto, del torrente che ha pazientemente scavato per noi questo cunicolo nel calcare soprastante. I primi quaranta metri a soffrire con le ginocchia su questi ceci di basalto mi ricordano la penitenza delle sei ore passate dentro il Monte Coazza a strisciare e a farmi infilzare dalle piccole ed appuntite concrezioni dei suoi cunicoli, ed i presagi mi paiono nefasti.
Invece poco dopo sbuchiamo in una grande galleria che si sviluppa lungo la frattura principale su cui è impostata l'intera grotta. Siamo dentro. Ci accoglie un pipistrello che, vagamente infastidito dalle nostre luminarie, se la tira senza scomporsi più di tanto e continua a dormire. Come dire "fate un po' come vi pare, tanto il padrone, qui, sono io".

Iniziamo ad addentrarci e, dopo qualche saliscendi e qualche strettoia infangata, ritorniamo sul basamento impermeabile sul quale scorre il torrente che alimenta la riserva idrica dei paesi nei dintorni. Proseguiamo senza difficoltà fra pozze e spiaggette di una sabbia nerissima lungo un bel corridoio sinuoso del quale, in alcuni punti, non scorgo il soffitto. La sfera di luce che si irradia dal mio casco disegna ombre lunghe che sfumano nel nero della volta e nelle anse della frattura. Ogni angolo che non riesco a vedere è una promessa di meraviglia. Sarò uno speleologo atipico... Ma più che le concrezioni, più ancora delle grandi opere d'arte dell'acqua, piu che quello che vedo, insomma, è quello che non riesco a scorgere a farmi vibrare ed, a volte, commuovere. Il nero insondabile della grotta mi fa lo stesso effetto del Grande Blu del mare quando vado giù lungo la catena di un'àncora. Credo di aver capito che cosa accomuna la mia atavica passione per la subacquea a questa recente infatuazione per la speleologia: la scoperta della terza dimensione.
La maggior parte di noi passa la propria vita a strisciare fra cielo e terra in un universo bidimensionale, semplificato, in cui tutto è cartesianamente localizzato e raggiungibile. Ci sono alcuni fortunati che invece ricevono la grazia di librarsi, nell'acqua, in aria, o sotto terra, e di scoprire che c'è tanto altro da vedere, che non tutto può essere visto, che siamo piccoli, ma che anche noi, a modo nostro, possiamo volare.

Concludiamo il giro nella sala delle ostriche, un posto che sa di eternità. La presenza incongrua di migliaia di questi bivalvi fossilizzati i cui gusci anneriti spuntano dovunque dalle pareti e dal soffitto, fa correre il pensiero a tempi inimmaginabili, quando questo posto era il fondo di un qualche mare primigenio. Ancora il mare, padre di tutti noi... Ma è ora di tornare indietro.
Quando usciamo, inzuppati da capo a piedi, il cielo è terso ed il sole è tiepido. Siamo di nuovo nel mondo "normale", che ci dà un gradevole bentornati. Non è più tempo di filosofare, dunque. Domani si ritorna al lavoro, domani ricomincia il conto alla rovescia: questo splendido sasso che ci è stato prestato da chissà chi farà ancora sette giri su se stesso, e poi saremo di nuovo in grotta.

Stefano Cherchi

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