Armi a Su Saccu

- di Laura Dotti -
10/10/2010

Nonostante le previsioni infauste anche questa domenica decidiamo di abbandonare il calduccio del letto per tuffarci nel meno caldo e decisamente più umido ambiente di grotta. Siamo in 5 (Io, Angela, Daniela, Rodolfo e Stefano), la partenza è fissata alle 07:30 ma, come al solito, tra ritardi e seconde colazioni partiamo alle 08:30… destinazione Lula, grotta di Su Saccu. Arrivati in paese ci incontriamo con Ivan e a quel punto, con la squadra al completo, ci dirigiamo verso la nostra meta. Per raggiungere la grotta posteggiamo all’inizio di un sentiero che si inerpica su una montagna. L’entrata si trova, percorsi pochi tornanti, proprio nel mezzo della mulattiera, tanto che per entrare spostiamo, sotto lo sguardo perplesso di alcune capre, le pietre che fanno da tappo.

Entriamo dentro e subito ci si mostra la natura voraginosa di questa grotta…dopo pochi metri si apre (o si sprofonda? Mah!) il primo pozzo. Alla domanda di Stefano “chi arma per primo?” il chiacchiericcio allegro che era durata fino a quel momento si interrompe bruscamente, d’improvviso i mie cari compagni d’avventura trovano che il soffitto della grotta sia particolarmente interessante, mentre qualcuno addirittura tenta la fuga. Io, con la solita velocità che contraddistingue tutte le mie azioni, non riesco a eclissarmi in tempo dietro qualche pertugio ed essendo inoltre la felice detentrice della corda da 60 (guarda caso quella che serve per armare il primo pozzo) mi vedo affibbiato l’incarico! A questo punto scatta (parole grosse) la squadra d’armo, io fingendo sfacciatamente sicurezza comincio a descrivere le azioni che sto compiendo a beneficio di quelli che sperano di imparare ad armare osservandomi. Intanto i miei compari (che hanno finalmente terminato le loro osservazioni sul soffitto) contribuiscono con commenti e suggerimenti del tipo:“Metti l’anello al posto della placchetta!”, “no, fai il nodo direttamente sull’anello, risparmia sull’attrezzatura” “si, già hai stretto abbastanza il dado dell’anello , appenditici tranquilla …”. Piazzati i primi due armi mi sposto sul bordo del pozzo e lì mi prendo quella mezz’ora - ¾ d’ora buoni per piazzare gli altri 2 anelli. Nel mentre che compio le varie operazioni, sento salire una qual certa tensione, sotto di me è tutto nero, comincio a balbettare frasi del tipo “mi controllate se ho stretto bene il dado?” “ma davvero non vi ricordate se devo fare qualche frazionamento?”.

Alla fine è tutto pronto, devo iniziare la discesa,il bordo del pozzo nonostante la sua viscida instabilità è comunque una sicurezza difficile da abbandonare, non essendo però parente di Carletto il principe dei mostri non posso lasciare i piedi su mentre scendo, faccio quindi un bel respiro e inizio a far scorrere la corda nel discensore. Fatto poco più di un metro mi accorgo che la corda tocca la colata sulla quale si apre il pozzo, con lo yo-yo che si genera salendoci rischiamo di lesionare la calza e cerco quindi un punto dove fare un frazionamento. Sulla parete opposta le radici degli alberi hanno palesemente lesionato la roccia e non mi pare il caso di appenderci la mia vita, opto quindi per il deviatore. Trovata una clessidra mi allungo orizzontalizzandomi e assumendo una posa plastica che ricorda un otaria spiaggiata che si distende al sole.
Finito continuo la mia discesa nelle tenebre, con la luce riesco finalmente ad illuminare il pavimento e anche se non è vicinissimo vedendolo mi tranquillizzo. Una volta poggiati i piedi su qualcosa di più consistente dell’aria,aspetto un attimo a dare il libera per godermi ancora per un po’ la sensazione di essere la prima a vedere il fondo della voragine. Una volta scesi tutti è il turno di Daniela di armare e, a dispetto del fatto che è la prima volta, in breve piazza la corda e inizia la sua discesa

Per il terzo pozzo ci tocca cercare un po’, (infatti lo troviamo salendo una paretina sulla destra, dietro un roccione), ma una volta trovato è finalmente il turno di Stefano di armare mentre io e Daniela osserviamo cercando di carpirne i segreti (?). A dispetto della fatica fatta per raggiungere il fondo della voragine la meta ci appare un po’ deludente, infatti Daniela scendendo commenta sulle mirabolanti somiglianze che esistono tra il fondo di Su Saccu una cantina e il bagno di casa sua (sarà che per tenere il vino in fresco lo mette nel vano doccia? Mah!)! A questo punto vuoi perché ormai siamo in grotta da almeno 4 ore vuoi per l’associazione di idee scatenata da Daniela, a tutte (e sottolineo a tuttE) viene un impellente problema idrico. Purtroppo data la conformazione del posto dove ci troviamo la Privacy è impossibile. Ivan per farci vedere che non è proprio il caso di avere tutti questi pudori si mette contro la parete opposta, proprio sotto la corda a risolvere il suo di problema idraulico … con piacevole sorpresa di Angela che se lo trova, mentre sta scendendo il pozzo, sotto i piedi (è proprio il caso di dirlo) tutto impegnato in azioni che non vogliamo sapere. Ancora poco convinte dal buon esempio dato, Daniela e Angela decidono di aspettare che i maschietti si siano spostati al piano di sopra per alleggerirsi dei liquidi in eccesso prima della salita.

Mentre ci dirigiamo all’uscita, neanche risalito il secondo pozzo, iniziamo a sentire un fastidioso stillicidio che diventa in breve una pioggia che forma qua e là dei rivoli …. fuori deve stare diluviando! Ci affrettiamo a risalire le corde e a disarmare, ormai sembra di fare torrentismo, tanto che mentre aspetto il mio turno mi metto a gonfiare i braccioli … la sicurezza in grotta prima di tutto!

All’uscita arriviamo prima del previsto (non avevo neanche finito di gonfiare il secondo bracciolo) ma nessuno ha fretta di affacciarsi all’esterno, fuori piove a catinelle. Quando sbuchiamo in superficie è buio pesto e non fosse per gli alberi si sarebbe tentati di credere che siamo ancora dentro la grotta. Un po’ camminando e un po’ rotolando arriviamo a fondo valle e alle macchine che con i loro vetri appannati ci avvertono che il resto della compagnia si è già cambiata e messa all’asciutto. Timorosa di disturbare qualche cura speleologica dell’ipotermia, busso timidamente alla portiera per annunciare che ci siamo salvati anche noi dalle acque del diluvio. Per cambiarci sfruttiamo il tettuccio del berlingò a mo di tettoia e finalmente è il nostro turno di indossare qualcosa di caldo e asciutto. Tempo di sederci e di fare qualche battuta e nell’abitacolo l’unica voce è quella radio che si mescola al suono del nostro respiro lento e regolare mentre dormicchiamo esausti.

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