CAMPO POST-LAUREA IN SUPRAMONTE
29 MARZO – 4 APRILE 2004

Laura Sanna, Stefano Pinna

PREMESSA

I grandi traguardi necessitano sempre di un grosso impegno e l’esperienza degli altri speleo del GSAS mi ha insegnato che il periodo conclusivo dell’università richiede il sacrificio di molte domeniche, spesso di mesi, a scapito delle esplorazioni in grotta. Preparata psicologicamente ad affrontare un duro travaglio del genere, da tempo ormai pensavo ad una giusta ricompensa che una volta raggiunto l’obiettivo potesse colmare la mancata attività speleologica. L’idea di partenza era quella di trascorrere un mese in grotta, magari non sempre nella stessa (certo, trovando il Collettore ce ne sarebbe da girare!!!), poi il soggiorno si è ridotto ad una settimana, e mentre la primavera avanza ed io sono incatenata al computer per scrivere la tesi, arrivo ad optare per un bel trekking alla luce del sole in Supramonte. Considerando che fino all’ultimo non ho mancato di soddisfare la mia sete ipogea almeno in quel del sassarese, la correzione al progetto risulta valida: approvato!

PARTENZA PER IL SUPRAMONTE

Ricordate quel famoso burattino che affermava che dopo la laurea si ha molto tempo libero? Si chiamava Pinocchio! Comunque, rinviati gli impegni meno urgenti riesco ad incastrare questo famelico giro nel cuore della Sardegna tra un turno di elisoccorso ed un’esercitazione speleo del SASS. Accordo quindi un ulteriore taglio al programma, saranno solo sei giorni, ma si parte ugualmente. Dovevamo essere un bel gruppetto di escursionisti, tutti entusiasti di questa esperienza, ma all’appuntamento del 29 marzo siamo solo in due (sarà la pioggia?), io e il mio ormai abituale compagno di viaggio Stefano, detto “il Pinna”. A grande richiesta e per chi incuriosito ancora si domanda (e per chi non ha avuto il coraggio di chiedermelo e mormora) comunico che tra noi c’è un grande amore … per il Supramonte, naturalmente! Quindi donne fatevi avanti, il giovane è ancora libero!!!!

CAMPO BASE A “SA PIRA”

Dopo la falsa illusione di un’estate anticipata a metà marzo, nebbia e pioggia incessante: indecisi sul da farsi, rinviamo il tragitto sulle creste di Orgosolo e ci manteniamo bassi nell’impluvio del Flumineddu. Dalle pendici di Monte Nieddu verso le sorgenti impermeabili di Badu Osti, frughiamo le pareti laterali della codula, un mondo incantato apprezzano molto anche dai mufloni e dalle aiuole fiorite di narcisi. A tratti un fiume carsico emerge tra i sassi levigati; a Sa Funga ‘e S’Abba invece viene violentemente inghiottito nelle viscere della terra, con una fragorosa cascata che sbarra il passaggio. E si, … sogni di Collettore!!! Spazio invece all’antica realtà vissuta sui ripidi contrafforti di Tippiri ‘e Susu: dalle tombe dei giganti percorriamo a ritroso le creste sul versante idrografico destro quando è quasi già buio. Le pietre incastrate sotto i rami di ginepro dell’ovile di Sa Pira mi fanno sentire a casa: saranno i ricordi di innumerevoli campi con il GASAU che fanno di quell’ambiente affumicato dal fuoco di leccio bagnato (che anche stavolta non vuole accendere), un luogo così familiare ed accogliente. Graticola e vino rosso: detto tutto!

IL TREKKING AD ORGOSOLO

Le condizioni meteo non sono certo favorevoli, ma zaino in spalla (forse è un po’ troppo pesante!) lasciamo il campo base per una tappa più lunga. Da Badde Tureddu con un terzo grado sprotetto, raggiungiamo Campu Su Mudrecu e a seguire il bosco di Disterru. Uno spiraglio di sole fa intravedere la cima di Punta Sa Pruna e non so come il mio compagno di disavventura mi convince a raggiungerla. Che panorama! Retorico, naturalmente. Dopo cinque secondi infatti le nuvole si riappropriano delle creste e dell’intero altopiano. Ginepri bruciati si stagliano sul calcare bianco, nella nebbia: un paesaggio quasi lunare, ma in salita, cotonato dalle goccioline nell’aria che nascondono la nostra presenza all’olfato dei mufloni di Sas Laccanas. Rimmarrà impresso solo nella nostra memoria di viandanti senza meta, visto che il Pinna ha scordato la macchina fotografica a Sa Pira. Alla sella con Punta Lolloine ci affacciamo sull’imbocco di un bel pozzetto (ma non abbiamo materiale per esplorarlo) e sulle vertiginose pareti occidentali della copertura calcarea orgolese, rapiti dal verde vivace della foresta sottostante. Costeggiando sugli strati inclinati e viscidi di Costa ‘e Supramontes ci spingiamo fino al Nuraghe Lollovè per tuffarci nel bosco cupo sotto Punta Capiddu, ai margini meridionali della folta vegetazione di Sa Trempa Niedda. La pioggia si è placcata e il sole che tramonta rapidamente dietro Perda Longa ci asciuga le ossa sotto l’incerata, mentre ammiriamo sul versante opposto il profilo di Costa ‘e Monte, l’Orientale e Monte Tului. Con quel mattone sulle spalle comincio a sentirmi una tartaruga che sta per ribaltarsi, lividi sulle clavicole: per la notte ci fermiano all’ovile Taletto, ma presto la fitta nebbia ci avvolge. Fortuna che il ginepro secco s’infiamma subito! Rimboccato il sacco-letto riprende fine ed incessante la pioggia. Prevedo inondazioni … che Stefano cerca di tamponare durante la notte con un telo aggiuntivo sulla tenda. Vano tentativo, il livello sale sopra lo stuoino, fino ad un centimetro e mezzo.
Risveglio in condizioni patagoniche, tutti inzuppati, anche lo zaino è da strizzare. Fuggiamo veloci verso nord, passando per il cuile Pistoccu per arrestarci davanti ad imponenti strapiombi. Il paesaggio è sfumato dalla nebbia che abbraccia anche lo scampanellio delle vacche: il gps conferma che quelle verticali sono i bordi della dolina di Su Sercone, colmi e traboccanti di nubi dense. Il cielo grigio non spegne però il colore intenso dei boccioli semi schiusi delle peonie, ne i petali vivaci delle violette e dei ciclamini. Disorientati verso Campo Donanigoro, una volta nella polje il sentiero è liscio sotto Fruncu ‘e Mesu. Lo abbandoniamo poco oltre il cuile di Sa Roda Camposa, per infilarci dentro la gola di Titione. I liquidi scarseggiano nelle nostre borracce, ma recuperiamo le scorte dallo stilliccidio muschioso lungo la codula, con tanto di proteine di coleottero annesse. Poco oltre, la risorgente tira fuori un tubo d’acqua in pressione che alimenta un torrente eccezionale dentro il consueto alveo asciutto. Curiosiamo nella grotta soprastante dove il rombo dello scorrere profondo della piena copre il suono tranquillo del flusso in trabocco dalle vaschette. In lontananza l’eco dei tuoni non fa presagire niente di buono: tappa veloce dunque ai laghi di Gorropu per avviarci, con Sa giuntura alle spalle, verso la risalita di S’Ischina ‘e Sa Raighe. Devastante!!! Polpacci in fiamme ed acido lattico in circolo. Ci distrae per un attimo il getto fragoroso della cascata della Donini, ma una nuvola si riapropria in pochi secondi dello scenario. Non ci resta che guardare davanti ai nostri piedi, fino a che la pendenza non si riduce e spezza il fiato corto. L’ambiente incontaminto di Sedda Ar Baccas è stravolto dalla mano dell’uomo, una strada, il cemento, la ruspa ad un passo dal tasso secolare … un’impronta indelebile fino a Campos Bargios. Scioccante! Per tre giorni non abbiamo incontrato anima viva, se non le tracce dell’attività antropica di altri tempi, ora un impatto violento con la civiltà dei giorni nostri. Al ventesimo chilometro siamo al campo di Sa Pira: fuoco e arrosto, anche di scarpe.

IN QUEL DI URZULEI

Oggi che giorno è? Boh! Il Pinna dice che è 2, io ricordo solamente che abbiamo lasciato la nostra città natale il 29, ma a Urzulei ci dicono che è solo 1 aprile. Ho perso il conto delle giornate trascorse in questo territorio battuto da pioggia e nebbia. Ricomponiamo le nostre cose sotto lo sguardo indiscreto e curioso del torello Bil, per spostarci ad Urzulei centro, e ripristinare i viveri. Immancabile il rendez-vous con gli esponenti più in vista del GASAU (Salvatore, Antonio e Cesare) con i quali ci intratteniamo a rispolverare ricordi di mitiche esplorazioni, fantastici campi e sogni di caverne profondissime, nella promessa di riaccendere insieme la ricerca del fantomatico Collettore, la speleologia di un tempo: appuntamento a S’Edera. È ormai passata anche l’ora del thè quando abbandoniamo lo spuntino: come vola il tempo se ci si trova in sintonia! Rinviato il trekking della giornata, organizziamo il campo a Dolimasio: la raccolta di qualche ramo di ginepro secco, mi fa mettere da parte qualche ritaglio da portare con me per non scordare il profumo del Supramonte anche quando sarò lontano. Davanti ad un bel fuoco, dopo tante giornate senza vedere il sole, oggi godiamo il sorgere delle stelle nel cielo nero e il sapore forte del vino gentilmente offerto da Salvatore per scaldare le membra in questa fredda notte di aprile (il termometro segna 1°C).

SUPRAMONTE DI BAUNEI

Con il sole tutto sembra più vivace: finalmente! Il grugnito dei maiali ed il belare delle capre fanno da coro al cinguettio di un’orchestra di uccellini, una sublime sinfonia a cesellare una giornata dall’aria limpida e frizzante. Camminiamo sparsi nel boschetto di Usplaigiargius, sotto Bruncu Orodulè, sulla destra idrografica di Baccu Addas, alla ricerca di qualche ingresso per il sottosuolo. Solo pochi metri di sviluppo, all’ombra di lecci e filliree, presidiati da tribù di geotritoni. Impossibile sottrarsi al fascino della natura intorno: si vede il mare! Qualche ovile ben conservato con i cimeli in vetro per contenere la gassosa, sono le tracce evidenti delle popolazioni locali che hanno scritto la storia di questo territorio prima e dopo l’avvento dei carbonai. Seguendo le creste pietrose fino allo sperone roccioso di S’Arcu Mannu, ci affacciamo sulla Codula di Sisine davanti a Serra Ovara, ma lo sguardo spazia fino alla piana basaltica del Golgo. I tornanti di una sterrata realizzata per il disboscamento, ci conducono rapidamente nel letto della gola che porta alla spiaggia. Per chiudere l’anello del nostro percorso risaliamo Bacu di Monte Longu, una valle stretta e profonda, rincisa sinuosa sui depositi crioclastici di epoca recente, un terrazzo sedimentario su cui crescono indisturbati carrubbi ed aceri. Sotto il maestoso anfitetro che orla le pareti nord di Su Stampu, un ingresso attorcigliato alla roccia da accesso ad un livello basso sotto la codula. Il giovane esploratore Pinna sparito nelle viscere della terra chiede altra corda, perchè quella da 30 metri è terminata prima della fine del pozzo, ma in giro ci sono solo liane che non scorrono bene nel discensore! Rimandiamo il fondo ad una prossima uscita, riprendendo la traccia disordinata e sbiadita di un vecchio sentiero interrotto da qualche chiudenda. All’imbrunire siamo al campo: il silenzio è rotto dal crepitio della legna che arde e dal verso stridulo di qualche belva selvatica. Il tarlo che macina nel nostro cervellino alla ricerca della immaginaria prosecuzione di quella discesa dentro la montagna è un suono sordo, non avvertibile dall’orecchio umano.

NUVOLE BASSE A DORGALI

Nella notte allagamento totale! Un’altra giornata d’inverno ci segue fino a Dorgali. Visto le condizioni meteo avverse, ipotizziamo una visita alla grotta di Monte Coazza con possibilità di dormire al suo interno, all’asciutto. La pioggia torrenziale però innesca una poderosa cascata all’imbocco dello pseudo-tracciato che conduce all’ingresso. Se aggiungiamo la mezz’ora di cammino tra la macchia, saremo grondanti. Desistiamo! Un unico pensiero ci attanaglia la mente: AAA cercasi un luogo asciutto per trascorrere la notte! Ah!!! La vecchia galleria di Gonone? Percorriamo il sentiero che risulta però un po’ scomodo da raggiungere al buio e sotto lo stillicidio dell’arco della volta, vento a 200 km/orari. Magari il grottone di Su Anzu, ma l’antro è allagato e mormora: “Piena in arrivo!”. Ok, rilassiamoci con un bagno tiepido a Sos Jocos. Idea!!!! Il campo base di questa ultima notte in Supramonte sarà lo spogliatoio delle terme. Umidità del 100% e 17°C di temperatura dell’aria: asciutti è una parola grossa e in più il Pinna si contorce per tutta la notte cercando una posizione comoda sulle matonelle umide, (senza trovarla, naturalmente!) avvolto nella carta da uovo di pasqua del suo telotermico. Non si lamenta però, la genialità è tutta sua! Domenica mattina ad Ispinigoli con una banda di speleosoccorritori. Che strana sensazione incontrare tanta gente tutta insieme, ma finalmente grotta. Il mio compagno di avventura decide di godersi la giornata di sole vagando per il bosco di Monte Tului, ma secondo me si è buttato sotto il primo cespuglio per recuperare il sonno perduto.

LA FINE DI UN VIAGGIO

Si conclude così il nostro vagare: rientro. Per molti chilometri stiamo in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri, a rivivere fotogrammi sparsi di questa avventura. Il tempo è volato e domani affonderemo nuovamente i nostri passi nella realtà quotidiana. È stata un’esperienza indimenticabile, rilassante, anche se a volte faticosa e un po’ umida, e ringrazio Stefano, forse un po’ polemico e testardo, come sempre, ma che ha reso speciale gli episodi di questo viaggio nell’anima del Supramonte. Ora è sufficiente annusare quella porzione di ginepro, per spostarmi veloce con la mente in quelle terre aspre e selvagge. Dal profumo non sembra proprio un ramo secco, ma anzi vivo come questo splendido ricordo. Ma per quanto ancora potremo godere di queste montagne solitarie e incontaminate?

Laura Sanna

Attività 2004