Risalita a Su Spiria (Urzulei, NU)
8-11 Dicembre 2005

Marco Barra, Roberto Masia, Stefano Pinna

Spesso la vita ti porta lontano dalle persone e dai posti che ami, ma se li ami davvero prima o poi ritorni.

Marco, Stefano e Roberto Quest'estate una spedizione di ricognizione a Su Spiria ha dato il via al nostro progetto di risalita verso un grosso buco in parete nella sala dei Ciclopi. Il buco era stato notato anche da qualcun'altro, ma noi del GSAS siamo stati i primi a credere che valesse la pena provare a raggiungerlo. La speranza è che oltre il buio che nemmeno le nostre torce più potenti sono riuscite a fendere si possa trovare il livello fossile di Su Spiria. Ragionare per analogia con Su Palu sembra più che lecito, e per chi ha nel sangue l'istinto dell'esplorazione basta davvero una scintilla per mettere in moto la curiosità e la voglia di provarci. Cosi' nel primo week-end libero a disposizione vengono piantati i primi fix in parete su uno spigolo strapiombante e si comincia la lenta risalita verso il buio.
Segue una seconda uscita che permette di avanzare per un'altra decina di metri lungo lo spigolo e dà morale per pianificare la terza uscita.

Io che per lavoro sono lontano dalla Sardegna seguo con trepidazione i progressi della risalita: ero presente all'uscita di ricognizione e ho tanta voglia di vedere a che punto sono i lavori e dare il mio contributo per raggiungere il buco. Così pianifichiamo la nuova uscita per i quattro giorni di ponte tra l'8 e l'11 dicembre: io prenoto il mio biglietto per rientrare in Sardegna, Marco si prende un giorno di ferie e Roberto lavora 16 ore al giorno per consegnare il suo progetto entro il 7.
Il giorno fatidico arriva immerso in una pioggerellina fastidiosa che bagna mezza Sardegna e turba un pò il nostro viaggio verso il Supramonte. Sappiamo bene che Su Spiria è una grotta a forte rischio piena, ma proseguiamo verso la codula con la speranza che il sole faccia capolino tra le nuvole disperdendo le nostre ansie di restare bloccati all'interno.
A Telettottes non piove e la terra non sembra particolarmente bagnata. Il torrente affianco alla strada scorre con una discreta portata, ma siamo ancora sul granito e la cosa è abbastanza normale. Prepariamo gli zaini senza risparmiare sul peso del cibo, quasi a volerci garantire di non morire di fame se la piena ci dovesse tenere bloccati all'interno per settimane. Eppure per qualcuno il cibo è sempre poco...
Lasciamo la macchina e prendiamo il sentiero nel nero della notte: il peso degli zaini è al limite del capottamento: trapano, batteria, corda dinamica, moschettoni, placchette, fix, sacca d'armo, grigri, fornellino e tanto altro. Mentre ci addentriamo nella zona calcarea della Codula tendiamo le orecchie al rumore del torrente con la speranza che si plachi prima possibile. Per fortuna ad un tratto le acque svaniscono sotto i grossi massi lasciando il letto asciutto e silenzioso.
Quando arriviamo all'ingresso di Su Spiria la decisione è presa: entriamo!

Le strettoie dell'ingresso Nei primi cunicoli sperimentiamo che gli zaini non sono solo pesanti, ma anche molto ingombranti. Superata la sella proseguiamo per il by-pass con passo tranquillo ma costante, facciamo una breve sosta al collettore per prendere dell'acqua e risaliamo verso la sala dei ciclopi dove lasciamo tutto il materiale per la risalita. A questo punto ci dirigiamo verso il campo allestito nella scorsa uscita in un ramo laterale, mangiamo dell'ottimo risotto ai porcini con crema di formaggio piccante e ci buttiamo a dormire.

Al risveglio, dopo una abbondante colazione, siamo pronti per la risalita. Roberto piazza il primo fix verso l'alto, ma da qui in poi la roccia è marcia e siamo costretti a cambiare direzione. Andiamo avanti con un tratto di traverso senza però riuscire a seguire una linea retta perchè costretti a salire e scendere per aggirare i punti in cui la roccia è più fratturata e instabile. Il martello batte e ribatte con suono sordo ma alla fine troviamo sempre un punto in cui piantare il fix successivo. La paura più grande non è che ceda il fix, ma che cada tutto il blocco a cui il fix è attaccato, portandoci giù "come se ci buttassimo in mare con una pietra al collo"... Il tempo passa lento e mentre chi sta in alto suda e fatica facendo acrobazie in equilibrio instabile sulle staffe, chi resta in basso a fare sicura patisce il freddo e i dolori al collo. Io che al primo turno non sono attaccato alla corda risalgo trai massi ciclopici verso il punto più alto della sala e dall'alto lo spettacolo è grandioso: le due fiammelle rosseggianti di Marco e Roberto appaiono minuscole e incantate, e galleggiano nel grande nero dove risuona ritmico lo stillicidio.
Facciamo provvista di acqua Il buco che dobbiamo raggiungere si trova sulla sinistra, dietro uno spigolo ancora lontano e a diverse decine di metri di altezza. Quando ridiscendo trovo Marco nascosto sotto i teli termici e capisco che è arrivata l'ora del the. Roberto invece non vuole saperne di scendere per un pò di the e io e Marco ci spartiamo la sua razione senza insistere troppo. Il tempo passa e ora è il mio turno di fare sicura: metto l'imbrago e do' il cambio a Marco. Andiamo avanti spediti ancora di qualche spit e poi Roberto inizia a recuperare le placchette che ci hanno fatto avanzare.

Se fosse un week-end come gli altri ora dovremo fare in fretta gli zaini per affrontare le 5 ore di progressione necessarie per uscire. Ma stavolta ci bastano 2 minuti per raggiungere il campo base e ritrovarci felici attorno ad un risotto che Marco ha pensato bene di rovesciarsi sulla gamba provocandosi una bella ustione. "Ci vorrebbe un pò d'acqua fredda", avrà pensato. E anche se con un pò di ritardo sarà accontentato...
Per nostra fortuna il risotto rimasto nella pentola è comunque sufficiente a sfamarci, ma visto che ci siamo portati dietro chili e chili di provviste e che non abbiamo nessuna intenzione di riportare fuori tutto quel peso tra una chiacchera e l'altra continuiamo a mangiare ancora per un pò.

Dopo meno di 24 ore in grotta i nostri ritmi circadiani sono già completamente sfasati e dopo il pasto ci sta bene un pisolino. Stavolta abbiamo costruito una chiusura di teli termici per isolare la zona dove si dorme, e gli effetti sono evidenti. Riusciamo a dormire molto meglio rispetto alla volta prima, e quando ci svegliamo sono le 8 di sera: per noi comincia un nuovo giorno ed è ora di fare colazione con caffellatte e biscotti.

Marco riprende la risalita dall'ultimo fix piantato il giorno prima da Roberto ed i problemi sono gli stessi: la roccia è molto fratturata e per trovare un punto buono siamo costretti a fare delle deviazioni con la speranza di aggirare le zone più infide. Si prosegue verso uno spigolo, poi un diedro ed infine ancora uno spigolo che sembra quasi irraggiungibile. Quando arriva il mio turno siamo alti molte decine di metri dentro il salone. Mi attacco all'ultimo fix piantato da Marco e con il martello batto la roccia alla ricerca di un punto buono per andare avanti. Dappertutto il suono è sordo, e forse solo in una piccolissima zona le cose sono leggermente migliori: ma non me la sento di andare avanti e ridiscendo un pò demoralizzato.
Dopo più di 30 metri di risalita Roberto e' quasi allo spigolo Roberto invece non si lascia intimorire e sale per fare ancora un tentativo. Quell'unico punto che sembra buono gli da abbastanza sicurezza per attaccarsi e mentre io di sotto trattengo il fiato lui cerca di ancorarsi al più presto su un nuovo fix. Disteso in posa plastica e con i muscoli in tensione riesce a stare in equilibrio per i secondi necessari a fare il buco con il trapano e affacciarsi dall'altra parte, finalmente!
Il momento è davvero importante, e chiedo il cambio a Marco per fare sicura in modo che io possa fare qualche foto. Marco si imbraga con la corda e io sono libero di cominciare a scattare. Gli ambienti sono grandissimi e per illuminarli un pò meglio dovrei passare il flash a Roberto. Ma mentre assicuro il flash sulla corda Marco sente un rumore provenire dal ramo dei Francesi, sembra acqua. Anche secondo me prima non c'era, mi avvicino per dare uno sguardo ma prima ancora di vedere l'acqua il rumore mi dice chiaramente che c'è un forte scorrimento. Il primo pensiero va al tratto di grotta sopra il collettore, che in caso di piena si potrebbe allagare impedendoci di uscire. Roberto inizia a disarmare e mentre Marco sta giù a fare sicura io metto l'imbrago e scendo verso il fiume. Non sembra che ci sia tantissima acqua, e rientro un pò più tranquillo dagli altri con la buona notizia. Marco e Roberto sembrano tranquillizati, e saliamo al campo per mangiare qualcosa e organizzare gli zaini con calma.

Intanto io preparo dell'ottima minestra di latte che però non viene apprezzata da Marco e Roberto che ci buttano dentro una quantità infinita di sale perchè dicono che è insipida. E non paghi, ogni volta che mi distraggo continuano a buttar dentro altro sale. Alla fine capisco che la prossima volta il latte lo useremo tutto con il nescafè!

La vita al campo 'dei sassaresi'

Un pò a malincuore decidiamo di rinunciare a dormire qualche ora e prendiamo subito la via dell'uscita. Non sappiamo se durante gli ultimi giorni abbia continuato a piovere, e visto l'attivarsi dello scorrimento al ramo dei Francesi anticipare l'uscita ci sembra la cosa migliore da fare.
Una volta al collettore cerchiamo un punto in cui riempire le bottiglie, ma a pochi metri dal passaggio che abbiamo percorso tante volte notiamo un cunicolo che ci porta verso un ramo che non abbiamo mai visitato. La leggera ansia di dover uscire prima possibile viene sopraffatta dalla curiosità di vedere dove porta quel passaggio: strisciamo per una decina di metri sulla roccia levigata ed erosa dall'acqua e ci ritroviamo in una zona fortemente attiva, con tanta acqua ed evidentissimi segni di piena.
In giro per il collettore Ci fermiamo a fare foto e restiamo incantati dal fiume che si perde oltre delle anse a monte e a valle. L'idea sarebbe quella di risalirlo con delle mute, e forse prima o poi riusciremo a farlo!
Quando riprendiamo la via del ritorno siamo molto più rilassati, sia per aver visto un bellissimo tratto di grotta, sia per aver superato il collettore senza notare nessuna variazione di livello.

Al bivio del meandro decidiamo di passare per le vie Nere, sia per il peso ancora notevole degli zaini e sia per scongiurare il rischio piena: che non dovrebbe arrivare, ma non fidarsi è meglio...
Superata la corda sporchissima di fango ci fermiamo a fare una foto allo squalo proprio nel momento in cui le batterie decidono che è arrivato il momento di scaricarsi. Ancora una volta, dopo esserci passati davanti in tantissime uscite, non riusciremo a portarci via una foto decente.

Scendiamo nel Cazzinboriga, poi il mare della tranquillità, una breve sosta poco prima dei traversi e le sale concrezionate che percorriamo veloci ormai in vista dell'uscita.
Quando però entriamo nelle fratture che portano alla base dell'ultima corda Marco sente il rumore dell'acqua e si trova trai piedi un torrentello che in questo tratto è assolutamente imprevisto. Che stia arrivando la piena?

Pericolo piena a Su Spiria! A questo punto monta un pò di paura e non so più cosa succeda davanti. Marco si accerta di avere al collo le chiavi della macchina e parte a razzo verso l'uscita, Roberto sta in mezzo mentre io chiudo il gruppo. Mettermi a correre per poi aspettare sotto la corda non mi sembra una buona idea, così me la prendo con comodo cercando di bagnarmi il meno possibile. Sul fondo delle fratture c'è dello scorrimento di acqua, e il tratto più basso si sta allagando ma per ora si prosegue bene. Su alcune corde c'è dello stillicidio un pò più abbondante del solito, ma ciò che incute paura è il rumore dell'acqua che rimbomba tra le strette pareti della grotta.
Quando arrivo alla base della corda Marco ha già iniziato la risalita e Roberto è sotto che gli tiene la corda. Si trovano entrambi sotto una fragorosa cascata che immagino gelida e che nasconde Marco, rimasto ovviamente senza acetilene e aggrappato solo alla luce del suo elettrico.
Roberto mi intima di abbandonare lo zaino come hanno fatto lui e Marco per evitare ogni complicazione nelle strettoie finali che dovremo affrontare. Io invece mi limito a svuotare tutto il superfluo (compreso il trapano) e mi tengo lo zaino leggerissimo sulle spalle. Monto il pantin e metto il capuccio con chissà quale speranza di non bagnarmi la testa. Appena Roberto mi da il libera nel fragore della cascata mi porto sulla verticale della corda. Il tempo di agganciare gli attrezzi e sono già zuppo d'acqua. Un brivido di freddo mi mette un pò di paura perchè non so per quanto tempo dovrò stare sotto l'acqua. L'acetilene si spegne quasi subito e rimango con la sola luce dell'elettrico. Non ho pensato nemmeno a togliermi gli occhiali, e la visibilità è quasi zero.

Risalgo velocissimo sulla corda, e non ho nemmeno troppo freddo. Superato il deviatore inizio a perdere il senso dello spazio e non capisco più da che parte devo andare. Per fortuna mi basta seguire le corde. Al traverso prima della sella lo zaino che ho sulle spalle prova ad incastrarsi, e per un momento mi viene da pensare che forse non avrei dovuto portarlo. Prima di sfilarlo dalle spalle e lasciarlo cadere giù per liberarmi provo a fare un tentativo per disincastrarlo e per fortuna riesco ad avanzare del tanto che basta per superare l'apporto d'acqua che genera la cascata. Per nostra fortuna arriva da un punto di assorbimento laterale e i cunicoli dell'ingresso sono asciutti. Quando riprendo contatto visivo con Roberto capisco che ne siamo venuti fuori sani e salvi! La sella è giusto una formalità, e superati i cunicoli dell'ingresso ci ritroviamo tutti e tre fradici e tremanti per il freddo e l'adrenalina! Sembrava impossibile ma ce l'abbiamo fatta!

Amaro Montenegro, sapore vero!

La mattina dopo...

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SP

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